I veri motivi per cui Amadeus ha lasciato Sanremo e, più recentemente, la RAI non sono ancora così chiari. Il Corriere sostiene che al conduttore sia stata messa una certa pressione in occasione dell’ultimo Sanremo, attraverso richieste piuttosto fastidiose: pare che si insistesse perché Povia (vicino alla Lega) fosse ammesso tra i cantanti in gara, perché ci fosse Hoara Borselli (legata al partito della premier) tra gli ospiti, e perché gli venisse affiancato Mogol (anch’egli vicino a Fdi) in qualità di direttore artistico. Tra le richieste figurava anche una cena di cortesia con Pino Insegno, per legittimarlo, visto che per il pubblico RAI è un po’ un raccomandato in virtù dei suoi rapporti con Giorgia Meloni.
Amadeus, come si è visto, non è sceso a compromessi, e ha portato a casa un Sanremo assolutamente libero da ogni forma di ingerenza politica. Senza di lui, il palinsesto vedrà dunque dei cambiamenti radicali, con un tentativo di lanciare ulteriormente Stefano De Martino (che qualcuno vede già alla conduzione del prossimo Festival) e con un raddoppio per il già citato Pino Insegno. Se la presenza di quest’ultimo alla kermesse è poco plausibile, oserei dire surreale, esiste un po’ il timore che l’edizione 2025 possa comunque, in qualche modo, rivelarsi politicizzata, avvicinata ai gusti artistici e morali del governo.
Negli ultimi giorni si parla solo del monologo di Antonio Scurati, programmato per andare in onda in occasione del 25 aprile, ma poi censurato. Serena Bortone ha avuto il coraggio e l’audacia di leggerlo in diretta, sfidando i piani alti. La premier respinge ogni accusa e condivide il testo sul suo profilo Twitter, approfittandone per trasformare lo scrittore in una specie di nemico pubblico. La verità è che gli interventi della politica nella televisione, ultimamente, sono frequentissimi, e l’idea che la RAI possa effettivamente trasformarsi un megafono governativo preoccupa non poco.
Amadeus ha avuto la capacità di trasformare Sanremo in un vero specchio dell’Italia musicale contemporanea, non nell’idea rassicurante che una certa fascia di pubblico ha della canzone. Cambiare rotta sarebbe intanto un danno alla RAI stessa, ma soprattutto vorrebbe dire smettere di rappresentare il nostro paese per quello che è, a favore di uno spettacolo pronto a sfornare musica che non interessa a nessuno. Nemmeno ai politici.