Geolier, dal testo rap de “El Pibe de Oro” al pop di Sanremo: cosa rappresenta oggi Emanuele?

La settimana scorsa mi trovavo a Napoli dopo circa un anno dalla mia ultima visita, e in questo lasso di tempo il tessuto dell’adorazione popolare ha accolto un nuovo beniamino: accanto a Maradona, a Pino Daniele, a Totò e San Gennaro, adesso c’è Geolier. Un negozio vendeva addirittura le calamite con la sua faccia, ed è uno scenario quasi impensabile altrove in Italia. Come rivelavano le critiche pre-Sanremo, forse Emanuele non piace alla scena intellettuale conservatrice partenopea, che vede nella sua forma di comunicazione un tradimento dello spessore linguistico e letterario del dialetto napoletano. Ma per tutti gli altri Geolier è culto.

Non è facile comprendere una venerazione del genere rivolta a un ragazzo di 24 anni, anche perché se analizziamo il testo della sua ultima hit, “EL PIBE DE ORO“, verrebbe fuori tutta una serie di cliché alla luce dei quali Geolier sarebbe equiparabile a qualunque altro rapper italiano mediamente bravo: il titolo riporta una delle tante espressioni con cui ci si riferisce a Diego Armando Maradona, “il ragazzo d’oro”, e tanto le strofe quanto il ritornello fanno della classicissima autocelebrazione in chiave hip hop.

“Devo fare tutto nella mia vita, tranne l’infame, tranne lo scemo / Devo provare tutto nella mia vita, tranne il ca**o, sono un genio”: il discorso è relativamente banale, il richiamo a Guè è piuttosto prevedibile. Della prima strofa, mi diverte più che altro l’apertura con un riferimento alla fidanzata, che è un’ottima strategia per far presa sul pubblico più giovane. Nel testo si menzionano personaggi come Osimhen (modernissima icona del calcio napoletano), e gli attori De Niro e Al Pacino, noti per i loro ruoli da gangster. Poi si citano alcuni elementi relativi al mondo del lusso e del lifestyle, dalla Lamborghini Huracán al Tender (una piccola imbarcazione).

Bisogna rendersi conto che forse il clamore di Geolier non va rintracciato nella ricercatezza autoriale. La verità è che Emanuele si è dimostrato in grado di accontentare un po’ tutti, e di farlo bene: da un punto di vista puramente tecnico, dispone di un flow dalla precisione rara e riesce a portare a casa strofe rappate in maniera ineccepibile; a Sanremo ha proposto un pezzo pop (“I P’ME, TU P’TE“) , con cui ha esteso la sua influenza a tutta Napoli e ha conquistato un po’ tutte le fasce d’età; e poi ha cantato con Ultimo (nel brano “L’Ultima Poesia“), che vanta un pubblico prettamente femminile, dai gusti forse più profondi, dimostrandosi capace (al di là delle mie preferenze personali) di stare tutto sommato bene anche lì.

Insomma, parliamo di un rapper capace e versatile, che ha scelto di usare solo il dialetto napoletano, nella sua versione più urbana, proponendosi come icona di una città che sa premiare i suoi rappresentanti. Probabilmente è ancora presto per gridare alla leggenda, e gli strascichi del Festival tendono ad avere una durata relativamente lunga, ma sicuramente il ragazzo ha già lasciato un segno nella cultura street della sua terra, e questo gli fa onore.

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