Tutto fuori controllo – Analisi del testo

La canzone di MĀYĀ  (il nuovo disco di Mace) che ha suscitato più interesse nei giorni immediatamente successivi all’uscita è stata sicuramente TUTTO FUORI CONTROLLO, e le ragioni sono abbastanza chiare: il producer ha segnato l’attesissimo ritorno in scena di Izi, mettendolo insieme al liricista più acclamato del momento (Kid Yugi) e a una delle voci più suggestive del panorama urbano italiano (Franco126). Le aspettative sono state soddisfatte, e il testo della canzone che ne è risultata merita sicuramente un’analisi attenta.

La strofa di Franco aderisce profondamente al titolo, mettendo nero su bianco una sensazione di naturale inadeguatezza: la vita (io l’ho interpretata così) viene descritta come una strada che dal nulla viene e al nulla arriva, un’esistenza inconcludente che nei momenti difficili non può che rabbuiarsi ulteriormente. Ma a cosa è dovuto tutto questo buio? Probabilmente, ci lascia intendere Franco, all’impossibilità di controllare non solo ciò che ci sta attorno ma anche, e soprattutto, quello che dovrebbe essere in nostro potere: la paura di fare la cosa sbagliata, il terrore che ciò che abbiamo tra le mani ci sfugga o svanisca come niente fosse.

Il ritornello ritorna alla metafora della strada, l’autore dice di correre senza sapere dove. Tutto appare come finto e fuori controllo, gridare aiuto equivale a sprecare fiato perché “sembra che il mondo sia diventato sordo”. Ed è a tutte queste immagini che Yugi sapientemente si collega, citando nuovamente quella strada senza inizio e senza meta. Poi Francesco ci mette davanti a una situzione paradossale: “Se grido aiuto c’è nessuno che comprende / Se confesso sottovoce, invece, tutto il mondo sente”. Il mondo vuole indispettirci ignorando le nostre grandi domande, dando invece eco a quei segreti che confessiamo in silenzio.

Nelle barre che seguono comprendiamo la ragione di questo senso di inadeguatezza: “Tu sei come il buio: arrivi sempre da Ponente / Metto a punto il collante e puntualmente diventi solvente”. La donna che si ama non arriva da Est, come il sole, ma da Ovest, dove il sole si nasconde. Si vogliono rimettere insieme i pezzi di una relazione ormai scomposta, “mettendo a punto il collante”, ma l’amata diventa “solvente“, una sostanza capace di scioglierne un’altra, e che in questo specifico contesto indica la vanificazione degli sforzi dell’altro. Lei viene descritta come “estuario ed insieme sorgente”, ritornando in maniera quasi nevrotica al dualismo inizio-fine, due spazi vuoti che ognuno alla fine riempie con ciò che ha.

Quando i due si sono lasciati, lei aveva le “guance rigate” (dal pianto) mentre lui non provava niente, in apparenza. Forse è troppo tardi per tentare di mettere a punto quel collante, doveva sorgere prima quel “coraggio di voltarmi” e quella “voglia di fermarti” che Yugi rimpiange alla fine della strofa. L’ultima barra è potentissima, dice che l’amore è approfittarsi. Affinché, però, l’amore possa avere anche quella funzione brutalmente strumentale ci sono tempi e luoghi adeguati, che sono sempre fuori dal nostro controllo.

Poi è il turno di Izi, che inizia la sua strofa citando Brivido di Marracash e Guè: “Questo mondo fa troppo chiasso / E io non sento più quello che penso”. C’è sempre quell’irrequietezza, quell’immobilizzante confusione. L’amore che un tempo è stato ha lasciato solo il dolore, che è l’unica cosa che accomuna gli amanti che furono (“Siamo vicini solo se il dolore è unanime”). C’è un riferimento, forse un po’ ingenuo, alla Divina Commedia, quando Diego chiede: “Portate sempre un po’ di batticuore, oh voi che entrate”, come a dire che in fin dei conti l’importante è che l’amore continui sempre ad arrivare. Alla fine mette in moto e va via, lungo quella stessa strada che, immagino, non lo condurrà a nulla.

La lettura potrebbe sembrare troppo intensa, ma scavare in profondità fa bene: sotto la maschera di una relazione finita male, il brano racconta l’apparente e sfidante insensatezza della vita, che ognuno deve provare a risolvere a modo suo. E forse, come dice Franco 126 nella parte conclusiva, un giorno riusciremo ad arrivare “dove si incrociano tutte le strade”. Qual è la nostra destinazione?

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